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Iperammortamento: quanto ne sai?

Iperammortamento: quanto ne sai?

L’iperammortamento è una delle misure più interessanti messe in campo negli ultimi anni  in quanto, sovrastimando un bene nel suo valore ai fini IRES, permette un risparmio fino al 40% spalmato negli anni di ammortamento del bene. Il 31 Dicembre 2019 scade il termine per l’ammissibilità degli investimenti, siano essi acquistati in toto, o solo pagati in acconto del 20%. Mentre fino al 2018 l’iperammortamento aumentava il valore del bene al 250% a prescindere dall’ammontare degli investimenti, nel 2019 si ha una versione a scaglioni con agevolazione decrescente, e per gli investimenti di piccole e microimprese rientranti nella prima fascia di valore (€ 2.500,00), l’agevolazione è al 270%, facendo risparmiare circa il 40%, anziché il 36% degli anni precedenti.

Quindi se state pianificando di acquistare un macchinario in Industria 4.0 da € 100.000, quest’anno avreste un risparmio di circa € 40.000 anziché € 36.000.

Ma cosa sanno gli imprenditori di questa disciplina? 

Purtroppo poco, e comunque ne vengono spesso a conoscenza da venditori di macchinari, che non di rado mancano di una visione complessiva della disciplina. L’acquisto di un macchinario in industria 4.0 non è sufficiente per poter usufruire dell’Iperammortamento. Questo macchinario deve essere “interconnesso” al sistema aziendale in modi specifici, che richiedono tra l’altro:

  • il caricamento da remoto di istruzioni, salvo casi particolari propriamente giustificati,
  • l’interazione automatica con il sistema di logistica informatizzato dell’azienda,
  • una telemanutenzione, dimostrata con contratto attivo per 5 anni, ecc.

Le sanzioni possono arrivare fino al 180% della somma agevolata. Se si è usufruito di una agevolazione di € 100.000 e il macchinario risulta non propriamente connesso, si deve restituire tale somma e vi si aggiunge una sanzione di ulteriori € 180.000. Come se non bastasse, i controlli possono avvenire durante i 10 anni successivi all’acquisto. 

Ma spesso si ha anche l’effetto opposto, cioè ci si lascia sfuggire occasioni di risparmio laddove l’agevolazione sarebbe applicabile, ma non vi abbiamo ricorso. Difatti, in alcune circostanze è possibile portare in iperammortamento anche beni usati, se parte di un bene cui contribuisce in maniera maggioritaria un bene nuovo. È il caso di linee di processo con funzionamento solidale. Oppure rientrano in iperammortamento le attrezzature autocostruite, portando come costo agevolabile anche le buste paghe del personale interno, a patto però che risultino come beni ammortizzabili.

L’agevolazione ha durata annuale e viene aggiornata e rimodulata nelle leggi finanziarie di fine anno. Ad oggi non si hanno informazioni se verrà rinnovata o se le percentuali rimarranno così vantaggiose per le piccole imprese. Quindi se si ha esigenza di fare investimenti è meglio procedere da subito, quantomeno effettuando l’ordine con il 20% di anticipo entro il 31 dicembre, che “congela” per un anno il diritto di accedere al beneficio nei termini di vigenza del 2019.

Tutte buone ragioni per ricorrere a professionisti esperti della materia prima di investire risorse. Per questo ne abbiamo parlato nell’evento di Umbria Business Group di venerdì scorso a Foligno, in un incontro dedicato proprio agli imprenditori.

Chiaramente vi sono anche altri aspetti da valutare caso per caso, ma che come Umbria Business Group siamo a disposizione per sottoporre ai nostri esperti, in questo caso l’ing. Marco Catanossi, il quale ci ha assistito nei contenuti di questo articolo, e ha già aiutato decine di aziende umbre ad accedere all’agevolazione in questione, anche redigendo le relazioni tecniche e perizie giurate richieste per accedervi.

Chiama +39 339 6207311 o invia una email a pr@umbriabusinessgroup.it per maggiori informazioni.

Sicurezza e Legislazione di Prodotto. La conosci?

Sicurezza e Legislazione di Prodotto. La conosci?

L’aspetto della certificazione di prodotto viene ancora grandemente sottovalutata dalle aziende e dagli operatori professionali. Per questo, in collaborazione con l’ing. Marco Catanossi, dedicheremo una serie di articoli ed incontri su questo argomento, fornendo indicazioni, consigli, informazioni e spunti di approfondimento.

Qualche settimana fa delle scarpe sportive provenienti dall’Italia sono state ritirate dal mercato, a seguito di una segnalazione fatta in Germania, perché non rispettavano la legislazione di prodotto sulle sostanze chimiche pericolose, il regolamento REACH. La quantità di cromo nel cuoio infatti era superiore a quella consentita per legge: il cromo è un sensibilizzante e può causare gravi reazioni allergiche (puoi leggere qua la segnalazione al RAPEX – Il sistema di allerta rapido per i prodotti non alimentari della Commissione Europea).  

La legislazione di prodotto entra nelle nostre case sia come consumatori, potenzialmente vittime di prodotti pericolosi, che nei nostri posti di lavoro colpevoli di omissioni più o meno consapevoli. Il mancato rispetto delle norme infatti può comportare forti sanzioni (anche nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro!) sino all’arresto, cui si sommano i costi di gestione della non conformità come i richiami dal mercato e i danni di immagine.

Per questo è necessario che le aziende si dotino di professionalità, sia esterne che interne, per affrontare aspetti che, se propriamente gestiti fin dall’inizio, possono anche rappresentare un punto di forza su cui far leva.

Ad esempio, qualche tempo fa fui colpito dalla scrittura sul packaging di un giocattolo dove si veniva avvertiti che il legno di cui era costituito perdeva più facilmente il colore rispetto ad altri perché utilizza solo vernici ad acqua, nel rispetto della normativa. Questo induceva una motivazione all’acquisto maggiore rispetto ad un costo più basso, cui per contrasto veniva associato un pericolo, e, a giudicare dallo scaffale, aveva sicuramente il suo effetto sugli acquirenti.

A questo punto ti starai chiedendo cosa sia questa legislazione di prodotto di cui sto scrivendo e se effettivamente riguarda anche te e la tua azienda. La risposta è probabilmente sì, se sei un’azienda che produce, importa o commercializza prodotti, componenti e sostanze sul mercato europeo a titolo oneroso ma anche gratuito.

La legislazione di prodotto è costituita da un vasto corpo normativo, principalmente dell’Unione Europea , che fornisce:

  • requisiti essenziali di sicurezza
  • obblighi amministrativi
  • regole tecniche

Formalmente, gli operatori economici si definiscono come:

  • Fabbricante: chi vende con il proprio nome in etichetta
  • Importatore: chi immette per primo il prodotto nel mercato dell’UE
  • Distributore: grossisti e venditori al dettaglio
  • Rappresentante Autorizzato: ruolo specialistico non commerciale ma puramente normativo, utilizzato in generale dai fabbricanti extra UE

Ogni livello ha le sue responsabilità e può essere interpellato dalle autorità di vigilanza.

Basti pensare che il negoziante che vende un giocattolo privo di marcatura CE o delle avvertenze sulla sicurezza in lingua italiana è soggetto alla sanzione amministrativa da 1.500 a 10.000 euro.

Ora pensa se, dato il tuo ruolo, rientri in una delle figure professionali sopra elencate.

Se vuoi saperne di più, ti aspetto al prossimo articolo, dove approfondiremo il ruolo del Fabbricante, ovvero colui che, anche se non progetta o fabbrica direttamente il prodotto, lo immette sul mercato con il proprio nome in etichetta. 

Per domande e chiarimenti sui contenuti dell’articolo puoi contattare l’autore, ing. Marco Catanossi all’email: tech@ceregulation.com indicando il riferimento UBG nell’oggetto.

Contattaci per scoprire come Umbria Business Group può aiutare le aziende associate a migliorare la propria performance ed aumentare la competitività sul mercato:

5 cose da fare prima di affrontare il crowdfunding

5 cose da fare prima di affrontare il crowdfunding

Condividiamo un post di Alessandro Veracchi, founder di Evonove su come affrontare una campagna di Crowdfunding. Alessandro racconterà la sua esperienza su Kickstarter dopo il grande successo del gioco Barbarians: The Invasion durante il nostro evento del 29/11 a Perugia sul Crowdfunding come finanziamento per le startup e le PMI.

Il crowdfunding è una forma di raccolta fondi alla portata di tutti, ma da affrontare consapevolmente per massimizzare le possibilità di successo.

Conoscere i quattro tipi di crowdfunding: Charity, Loaning, Reward ed Equity.

Il crowdfunding può essere eseguito tramite differenti modalità e differenti piattaforme, ognuna con le sue regole, prassi, metodiche e pubblico di riferimento. Utilizzare una modalità non adatta al tipo di progetto o agli obiettivi preposti può limitare ampiamente i risultati. È quindi importante per l’imprenditore conoscere appieno le possibilità che ha a disposizione in maniera da poter scegliere quella che si rivela più adatta alle sue esigenze.

Informarsi da un buon commercialista: le spese inaspettate possono danneggiare un progetto di successo.

Sebbene con modalità innovative e diverse dal solito, il crowdfunding nella sua essenza resta una ricerca di fondi per un’attività imprenditoriale ed è un gravissimo errore non muoversi seguendo un business plan accurato. Un progetto di crowdfunding di successo deve essere una macchina autonoma capace di finanziarsi da sola ed è fondamentale non incorrere in spese impreviste. In uno stato altamente burocratizzato come l’Italia è facile ignorare l’esistenza di tasse o regolamentazioni fino al momento in cui impattano sul progetto. Consultandosi con un professionista durante la stesura di un business plan diventa quindi una parte vitale nel processo di pianificazione di una campagna crowdfunding per evitare sorprese.

Trovare una buona idea: nessun tipo di marketing può compensare l’assenza di un’idea vincente.

Sono innumerevoli le campagne di crowdfunding che sembrano avere tutto in regola, ma finiscono per non raggiungere il proprio obiettivo. E’ possibile applicare svariate strategie di marketing per aumentare la possibilità di successo di una campagna di crowdfunding, ma alla fine dei conti sarà sempre l’idea a vincere ed una campagna basata su un’idea poco valida sarà svantaggiata sin dal principio.

Costruire una community: trova persone capaci di condividere e sostenere la tua visione.

Il motore di ogni campagna di crowdfunding sono le persone capaci di condividere la tua stessa visione e passione per un progetto. Per sua stessa natura, il crowdfunding può funzionare solo se sei in grado di trovare queste persone e di narrare la tua storia e la tua idea. E’ importante fare questo prima della campagna di crowdfunding, in maniera da avere un pubblico eccitato, pronto a supportarti e a condividere il tuo percorso verso il successo.

Avere passione: l’unico vero motore di ogni attività imprenditoriale.

Uno dei massimi esperti di crowdfunding al mondo sostiene che una campagna su Kickstarter è l’equivalente di un concerto rock per un imprenditore. La piattaforma è il tuo palcoscenico ed in una certa finestra temporale tutti i riflettori saranno puntati su di te. Dovrai coordinare un team multidisciplinare con tempistiche serrate e scadenze improrogabili. Con grande probabilità dovrai farlo mentre ti interfacci con un pubblico anglosassone ed in orari statunitensi. Senza passione per quello che si sta facendo, non è possibile affrontare tutti gli aspetti che il crowdfunding inevitabilmente porta con sé.

Hardware nell’IoT

Hardware nell’IoT

Premessa

Questo è il secondo post di una serie dedicata all’Internet delle Cose nell’ambito più ampio dell’Industria 4.0. Il primo ha coperto, oltre ad una breve introduzione all’argomento, i criteri di scelta del sistema operativo e del software associato, mentre l’intervento di oggi toccherà gli aspetti hardware tentando di chiarire i criteri con cui scegliere la piattaforma IoT giusta per il proprio prodotto. Vale per questo come per il post precedente l’approccio metodologico di non trattare Arduino e piattaforme su cui giri Linux per i motivi già menzionati in quest’ultimo.

 

L’hardware

A questo punto serve qualche chiarimento: ciascuna delle sezioni hardware seguenti descrive un chip, il quale proviene da un singolo costruttore e va acquistato all’ingrosso da terze parti o da distributori autorizzati. Di solito non viene fornito con strumenti in grado di immagazzinare codice o interagire col mondo esterno.  Un modulo invece è un prodotto basato sui succitati chip, aggiungendo caratteristiche come la capacità di immagazzinare dati in maniera persistente, antenne WiFi/Bluetooth integrate, e così via.  I moduli sono rilasciati da produttori diversi ma usano lo stesso chip. Di prassi i suddetti moduli sono versioni prodotte su larga scala del design di riferimento del costruttore del chip, quindi per componenti hardware comuni c’è solitamente ben poca differenza fra i vari moduli, fatta eccezione per il prezzo. Una scheda può contenere un chip o un modulo ma fornisce in più cose come diversi modi di alimentare l’hardware, connettori e pin per collegarvi hardware esterno, e via dicendo. A differenza dei moduli le schede possono variare molto da un costruttore hardware all’altro, e tendono ad essere adattate ad usi o esigenze specifiche. Una occhiata alle immagini qui sotto renderà tale concetto molto più chiaro:


[Chip] Atmel ATXMega 128A1 Photo By Springob – Own work, CC BY 3.0,

[Modulo] ESP8266 Photo By Sparkfun Electronics – CC BY 2.0


[Scheda] Wireless Internet of Things (WIOT) Board by ubld.it CC BY-SA 3.0

Dal punto di vista hardware scegliere la piattaforma giusta è un compito ancora più importante. Non va dato nulla per scontato in quanto soluzioni differenti possono sembrare inferiori comparate ad altre ma potrebbero essere del tutto adeguate al compito cui sono destinate. Concepire soluzioni IoT all’uopo è tutt’altra questione rispetto a idearne per uso generico, si prenda ad esempio la connettività WiFi:

I sistemi per uso generico oggigiorno sono tutti forniti di una qualche interfaccia WiFi che ci si aspetta semplicemente che “funzioni”. Ma la WiFi su dispositivi IoT è un altro paio di maniche. Si tengano a mente un paio di cose quando si sceglie quale chip utilizzare, sebbene nessuno ci penserebbe mai riguardo ad un dispositivo ad uso generico di questi tempi:

* Questo dispositivo è destinato ad un ambiente domestico o industriale? Nel secondo caso chip WiFi differenti possono avere antenne separate per la ricezione e la trasmissione, anche più di una. Si tenga conto che se il dispositivo deve agire come sensore o per acquisizione dati, per fare in modo di ridurre perdite di dati in uscita bisognerà procurarsi un chip che abbia due antenne per la trasmissione e una per la ricezione, ad esempio. Un disturbo da parte di un altro apparecchio può rendere irrealizzabili i design oltre un certo livello di complessità in quanto non sono resilienti verso le interferenze quanto gli elementi più semplici.

* Bisogna inoltre chiedersi quanti dati riceverà e trasmetterà il dispositivo. A differenza dei dispositivi per uso generico, la memoria è spesso scarsa e in tal caso due scenari negativi si prospettano su hardware di fascia bassa: o il firmware è troppo lento nel gestire i dati in ingresso, o è troppo veloce nel generare quelli in uscita. Nel primo caso si deve riuscire a gestire la perdita di dati, e pertanto si potrebbe aver bisogno di implementare un meccanismo di ritrasmissione dei dati se si ha bisogno di una bassa latenza, oppure passare a protocolli che lo facciano di per sé – a spese di un incremento di memoria o maggiore latenza. Nel secondo caso a seconda del sistema si potrebbe riscontrare un crash di sistema o l’impossibilità di trasmettere i dati senza che sia generato un messaggio di errore, dato che per quanto concerne al sistema operativo, l’unica cosa di cui preoccuparsi è il mandare i dati alla scheda di rete per la trasmissione (la cui coda d’invio è piena e i pacchetti finiscono nel nulla senza generare avvisi).

Tutto ciò va ad aggiungersi alle scelte tradizionali di design della parte elettronica, come il consumo di corrente, la dispersione di calore, i requisiti di voltaggio, e così via. Il design dell’hardware non è mai stato facile di suo ma se per un certo periodo ce la si poteva cavare con soluzioni generiche come computer a scheda madre singola con CPU x86 compatibile, di questi tempi clienti potenziali e non vogliono componenti più piccole e meno dispendiose – la qual cosa comporta lavoro extra nel selezionare le componenti che finiranno nel design finale.

Quelli fra di voi che erano attivi tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima dei Novanta possono paragonare senza problemi un simile scenario con quello degli home computer dell’epoca, quando c’era una pletora di sistemi diversi incompatibili fra di loro che si davano battaglia per una fetta di mercato – tutto ciò avveniva prima della standardizzazione verso il PC con cuore Intel. Per l’IoT siamo ancora alla fase “competitiva”, in cui soluzioni diverse incompatibili fanno del loro meglio per dominare il mercato. A titolo di esempio ecco una rapida lista di alcune CPU presenti sulle schede IoT:ARM, ARC, AVR, FT32, MIPS, NDS32 ), PIC, Super-H , x86 e Xtensa.  Alcune di esse sono ben note, come ARM e x86, ma si va anche verso soluzioni esotiche con esempi come NDS32 (la CPU dietro il modulo MediaTek MT7681 per dirne una), o FT32 – la quale è una architettura CPU nuova di zecca creata da FTDI per cui sono appena stati disegnati dei moduli.

 

Il post successivo di questa serie approfondirà le caratteristiche tecniche del chip ESP8266.

Guest post di Alessandro Gatti: consulente freelance IoT a Taiwan, in passato dopo aver esordito nello sviluppo di app J2ME nel 2003 ha lavorato fra gli altri come dipendente di Rakuten in Giappone (principale concorrente di Amazon in quel paese) e Opera a Taiwan e in Norvegia. Cura l’intero sviluppo in ambito embedded e su piattaforme iPhone/Android/Windows Phone, fino ad aspetti low-level come la programmazione in assembly o C del firmware e offre servizi di reverse engineering, coaching dei team di sviluppo, design di soluzioni Industry 4.0 dai tempi di SCADA e non solo. Editato da Fabrizio Bartoloni. Alessandro Gatti è stato uno dei relatori, in diretta Skype da Taiwan, all’evento UBG dedicato all’IoT il 22 febbraio presso Hub Corciano.

Le sfide dell’Industria 4.0 per lo sviluppo armonico della PMI

Le sfide dell’Industria 4.0 per lo sviluppo armonico della PMI

L’industria 4.0, l’Internet of Things (IoT), l’intelligenza artificiale, il cloud computing e più in generale la digital transformation sono fattori che stanno cambiando enormemente il modo di fare impresa.

Non si tratta dell’implementazione di nuovi sistemi, di nuove tecnologie o di digitalizzare qualche processo ma di un cambiamento radicale che impatta inevitabilmente sul modo di pensare: una rivoluzione dirompente che riguarda le aziende di ogni settore e in ogni fase del proprio Ciclo di Vita. Alla base di questa trasformazione ci sono i dati: la loro raccolta, la loro gestione e la loro analisi (data driven). La sfida è inevitabile, l’impresa non può affrontare questo passaggio epocale se non attraverso l’adozione di modelli manageriali con un cambio di passo in termini culturali e organizzativi che impattano in maniera multidisciplinare su tutta l’azienda. La trasformazione digitale, passa dunque per la creazione di una cultura aziendale che percepisca i dati come una risorsa strategica che alimenta ogni fase del processo decisionale. I livelli di competitività dell’impresa sono tanto più elevati quanto maggiore è il suo grado di flessibilità e adattabilità al contesto in cui opera. La sua capacità di risposta in termini di produttività ed efficienza, è strettamente legata alla capacità di innovare e pianificare le proprie strategie in modo puntuale, analitico attraverso l’innesto di una gestione razionale del dato.

La raccolta, la gestione e l’analisi dei dati sono attività divenute necessarie per lo sviluppo dell’impresa tanto che l’approccio data driven risulta indispensabile per prendere decisioni e creare strategie. Non possiamo più permetterci di snobbare l’enorme mole di dati disponibili basando le politiche aziendali sull’intuito, formulando scelte “di pancia” o andando, come si dice, “a naso”. I processi di business governance, in ogni ambito della vita aziendale, devono essere supportati da un approccio analitico basato sui dati e sull’impiego di adeguati modelli di analisi.

Un approccio manageriale data driven implica una struttura organizzativa all’interno della quale si sviluppino da un lato, le condizioni per favorire una sensibilità verso l’importanza strategica del dato, e dall’altro, si integrino ai processi operativi già informatizzati, quelli di Data Quality, Data Integration e Data Governance. L’attenzione va riposta all’intero ciclo di vita del dato: deve essere affidabile, accurato e pronto per gli scopi previsti. La qualità dei dati è un elemento imprescindibile per aumentarne l’efficacia nei processi aziendali.

L’integrazione dei dati permette di combinare e unire informazioni provenienti da sistemi diversi, ottenendo una vista di sintesi (sistemica) dei fenomeni analizzati immediata e coerente con le esigenze aziendali. È come realizzare un puzzle a partire da singoli pezzi provenienti da scatole diverse. Tutti i dati rilevanti e strategici devono essere gestiti formalmente a livello enterprise: le strategie di gestione dei dati devono allinearsi alle strategie aziendali coinvolgendo risorse, processi e tecnologie di impiego del dato.

Il patrimonio informativo aziendale deve essere valorizzato trasformandolo in un vero e proprio asset strutturale. L’implementazione di logiche di processo di gestione del dato, in grado di canalizzare correttamente i flussi informativi, le adeguate competenze di analisi e impiego dei dati, unitamente ad opportuni strumenti tecnologici rappresentano il mix di componenti che occorre gradualmente introdurre all’interno dell’impresa.

Applicare il Data Driven Management, in sintesi, significa mettere l’impresa nelle condizioni di aprirsi a nuove opportunità di business, accogliendo strumenti e metodologie operative in grado di sviluppare nuovi prodotti e nuovi servizi, di migliorare l’efficienza operativa ottimizzando i costi e il processo decisionale attraverso l’impiego di modelli di analytics. Grazie al supporto di avanzati modelli di analisi, l’impresa è in grado di scoprire le tendenze del mercato, conoscere in anticipo trend e decifrare il comportamento dei consumatori. Segmentazione analitica della domanda, definizioni di campagne di marketing mirate, strategie di up selling e cross selling sono solo alcune delle possibilità innescate dai processi di data analysis.

La cultura del data driven management resta di fatto l’elemento portante del processo di cambiamento delle imprese, senza il quale difficilmente si riuscirà ad innescare processi di innovazione tali da garantire agilità e flessibilità di business necessari per rimanere competitivi negli attuali contesti di mercato. Le tecnologie sono abilitanti, i dati sono la materia prima e i modelli di analisi sono lo strumento, ma è alle persone che è affidata l’azione: se essa non è guidata dalle analisi allora nessun dato è in grado di condurre ad un beneficio, nonostante le avanzate e innovative tecnologie disponibili.

In definitiva, solo attraverso decisioni basate sui dati, possono raggiungersi in modo continuativo obiettivi di crescita.

Articolo di Fabrizio Galeazzi e Francesco Stefani

CORM Calling: una buona semina per una buona fioritura!

CORM Calling: una buona semina per una buona fioritura!

Pubblichiamo con piacere un post di Omar Schiavoni, Business Development Executive presso Training Express e membro del team Umbria Business Group.

Vi starete chiedendo cosa abbiano in comune i bulbi (corms in inglese) come gladioli, fresie, iris, ecc., con il business development e le attività al telefono!

 CORM è un portmanteau stravagante e può sembrare leggermente ingannevole, ma lo trovo utile per parlare delle tattiche di COld e waRM calling e della loro armonizzazione. Come per la coltivazione dei fiori in giardino, il corm calling richiede anch’esso cura per i particolari, pazienza e una buona dose di fortuna.

Cold vs. Warm

Conosciamo tutti queste espressioni, ma ricapitoliamole di seguito:

  • cold calling è l’attività di vendita telefonica a potenziali clienti con cui non si è mai entrati in contatto precedentemente
  • warm calling è l’attività di vendita telefonica preceduta da qualsiasi tipo di contatto col potenziale cliente o prospect.

I numeri ci aiutano a definire meglio l’impatto dei due metodi: le attività di cold calling generano una media di buon esito del 2%, mentre quelle di warm calling raggiungono una media del 30%. Evidentemente, le campagne SEO/SEM/DEM, gli eventi e le conoscenze lavorano in maniera proficua per i nostri obiettivi, se paragonate alla fredda (cold) ricerca di aghi nel pagliaio.

Ma ciò significa che dovremmo smettere di chiamare prospect con cui attualmente non abbiamo avuto nessun tipo di contatto?

Ogni professionista della vendita deve ammettere che sono state le attività di cold calling a dare inizio alla propria carriera. Chiamando “a freddo” ci siamo messi alla prova e, probabilmente, abbiamo migliorato le nostre abilità di vendita. Alzare la cornetta e presentarsi in maniera diretta, riga dopo riga della nostra lista di prospect, ci ha permesso di fare esperienza e accrescere le nostre capacità per “conquistare quel centralino”, riuscendo a parlare con qualcuno dei piani alti. Ciò ha richiesto tenacia, prontezza, devozione agli obiettivi e astuzia. Una sorta di pozione magica impossibile da preparare senza studio, formazione e talento.

Interessante, a tal proposito, il sondaggio effettuato da DiscoverOrg secondo cui il 60% di un campione di 1.000 dirigenti nel settore dell’Information Technology ha fissato un appuntamento o ha partecipato a un evento a seguito di una chiamata inattesa o un’e-mail non richiesta.

Quindi, risulta utile la dicotomia cold vs. warm?

Ciò che rende una chiamata “gradita” (warm) è, in realtà, il fatto che il destinatario sia stato avvisato o in attesa di riceverla. Se non siamo nella sua agenda, considererei la chiamata un’attività di cold calling.

In qualsiasi modo, il mio consiglio è di non perdere tempo a tenere conto se le nostre attività sono di cold o warm calling. Basta renderle il più gradite possibile! Fare del nostro meglio per permettere che ogni chiamata “fiorisca”.

Pensate che il destinatario si ponga la domanda? Se stia ricevendo una chiamata cold o warm?

Non potrebbe, invece, la reputazione delle due attività essere condizionata dal comfort provato dal commerciale nel chiamare in una situazione o nell’altra?

Infine, considerate ancora chiamare senza alcun contatto precedente la maniera più “fredda” di connettersi coi referenti, avendo così tante informazioni disponibili online su di loro?

Personalmente, ho sperimentato esiti negativi da referenti che conoscevo da anni e, invece, super-positivi da parte di compagnie di prima grandezza con le quali non sarei mai potuto entrare in contatto se non chiamando “a freddo” in prima istanza.

Anche se la SEO e le attività di PPC hanno un costo inferiore di acquisizione di nuovi clienti, non risultano efficaci per contattare i grandi nomi del panorama economico mondiale. Costi bassi di acquisizione, di solito, significano opportunità di piccola entità economica.

È chiaro che le aziende non possono basare le proprie strategie esclusivamente sull’inbound marketing. Rischierebbero così di non raggiungere le opportunità più interessanti nel mercato. Combinando, invece, le due categorie di attività (inbound e outbound), i sistemi di informatizzazione dei processi relativi al marketing possono tornare particolarmente utili nel fornire ai commerciali dati per identificare prospect interessati ai prodotti e servizi dell’azienda per cui lavorano, ma non coperti dalle attività nel web. È di certo utile, ma non ci libera dallo sforzo di contattare attivamente, tramite e-mail, social media o… CHIAMANDO!

Mettiamo le parole in azione: CORM up a call!

Se chiamare direttamente ti rende ansioso o se stai cercando di migliorare il tuo modo di chiamare, prendi in considerazione questi semplici passaggi:

PREPARAZIONE:

  • Qual è l’obiettivo? Concentrati su di esso! Qual è l’azione che vuole scatenare nel destinatario la tua chiamata?
  • Qual è il giusto target? Crea liste suddivise per, ma non solo, settore e fatturato aziendale.
  • Chi è il referente per il servizio o prodotto che proponi? Comincia a scavare sotto ai tuoi piedi o se non vuoi sporcarti le mani, controlla nel web! Ciò ti permette di individuare le loro possibili necessità e, anticipandoli, fornire delle soluzioni ad hoc. Questo è il modo migliore per colpire l’attenzione e far sì che il messaggio rimanga nelle loro menti.

AZIONE:

  • Come presentarti? In maniera chiara, sincera e rispettosa. Non sei la prima persona che chiama per vendere e stai, inoltre, occupando il loro tempo, perfino quello del centralinista.
  • Aggiorna la tua lista mentre stai chiamando. Il tuo interlocutore potrebbe fornirti informazioni che non avresti mai potuto trovare online. Chiedi! Potrebbero illuminare la via ai referenti cruciali per il tuo servizio/prodotto e permetterti di utilizzare il loro nome come referenza.
  • Come andare avanti nella chiamata? Dovresti essere pronto a rispondere in maniera dettagliata rispetto ai servizi che offri! Fornisci dei casi pratici in cui la tua azienda ha trovato delle soluzioni ad hoc per quel settore e quella richiesta specifica. Metti il piede nella porta più che puoi.
  • Non è il momento adatto per parlare? Chiedi un momento migliore in cui chiamare.
  • Non mollare! Rispetta la loro gentilezza, ma sii perseverante allo stesso tempo. Potrebbero occorrere anche 4 chiamate prima di chiudere la prima vendita.

Di nuovo, ciò che conta non è se la chiamata è warm o cold. Ogni contatto è un’opportunità. La chiave di tutto è avere un obiettivo, selezionare il target di riferimento e trovare un approccio che ti permetta di rendere la chiamata più piacevole possibile.

Good Luck!

 

Immagine: Iris di Vincent van Gogh

Omar Schiavoni è Business Development Executive presso Training Express. Ha esperienza nella gestione di clienti di media/grande dimensione nel settore dell’Educational Technology, Localization&Translations e Digital Marketing. Ha lavorato in diversi settori incluso il medicale, legale/finanziario, vendite/marketing, editoria e tecnico. Ha una laurea in Comunicazione Internazionale e un Master in Project Management.