Un nuovo decreto legge temporaneo sulla libera professione renderebbe gli orari più flessibili di quanto siano oggi. Alle parti in causa verrebbe concesso di cercare un accordo per variazioni adeguate rispetto alla normativa attualmente vigente nell’arco di una fase sperimentale di due anni.
L’economia ha reagito negativamente alle proposte della ministra. Il presidente dell’associazione dei datori di lavoro Ingo Kramer ha ribattuto: «Non possiamo rimandare alle calende greche la modernizzazione di normative obsolete». Bitkom, l’associazione per l’economia digitale lamenta che i paletti posti per i cambiamenti all’orario sono legati a condizioni troppo stringenti. In effetti nell’arco di vent’anni coloro che lavorano fuori dagli orari e giorni tradizionali sono saliti al 25% per la sera e il sabato, quasi il 10% fanno turni di notte e il 15% lavora la domenica. Così come sono cresciute forme di lavoro più flessibili tipo i minijob, autonomi e impieghi temporanei. Ma è pur vero che contemporaneamente sono salite le occupazioni a tempo pieno indeterminato, raggiungendo un tetto storico di 36 milioni di individui.
La Nahles è ottimista a dispetto di critiche e paure, cita lo studio commissionato dal Centro per la Ricerca Economica Europea (ZEW) secondo cui solo il 12% dei lavori odierni hanno un profilo tale che li metta a rischio automazione.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) infine butta acqua sul fuoco degli allarmisti, per quanto sia vero che il potenziale di automazione nei paesi avanzati sia un po’ sopra la media, nove lavori locali su dieci non sono interamente rimpiazzabili, verranno invece evoluti in futuro.
Fabrizio Bartoloni
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